Le prime riflessioni relative all’ottimizzazione dell’efficienza si trovano in Adam Smith, laddove ne “La ricchezza delle nazioni” assume la divisione del lavoro come la causa del “fortissimo aumento della produttività del lavoro”.
La ricerca dell’efficienza è una costante che accompagna la storia del lavoro e della sua organizzazione, dall’avvento dell’economia di mercato fino agli approcci alternativi del XX secolo nel corso del quale si ampliano nuovi ambiti economici che accolgono teorie e indagini dalla psicologia industriale e dalla sociologia.
In questo contesto è possibile disegnare lo sviluppo del business management in un rapporto simbiotico con lo sviluppo dell’efficienza: dalla fase dell’esecuzione alla fase dell’esperienza.
Il project management rappresenta una pagina della storia del business management, cominciata nell’’800, quando iniziò un processo evolutivo che ha tracciato i contorni dell’”organizzazione per progetto”.
Come inteso oggi, il project management ha una storia di poco più di cinquant’anni ed è il risultato, ancora una volta, di una ricerca di ottimizzazione dell’efficienza: è un approccio applicato ad una vastissima gamma di progetti in tutti i settori dove la sostenibilità, i rischi, il valore offerto, l’immagine, la reputazione e la qualità sono considerati potenzialmente più importanti di quanto non lo fossero i classici vincoli di tempo (finito), risorse (costi) e ambito (tutto ciò e solo quello che deve essere realizzato dal progetto e che rientra nel suo perimetro).
Moltissime realtà utilizzano il project management (anche se non sempre in modo trasversale a tutta l’organizzazione): il tratto distintivo che esprime l’innovazione più rilevante dei nostri tempi è rappresentato dall’obiettivo non più rispondente al mero conseguimento dei buoni risultati in termini di efficienza, ma al raggiungimento dell’eccellenza nell’uso delle procedure (“modalità specifica di svolgere un’attività o un processo”, ISO 9000:2015), risultato raggiungibile attribuendo al concetto di “efficienza” una portata più moderna, inclusiva dell’accezione di “miglioramento continuo” ed esclusivamente se vi è l’appoggio delle figure apicali.
Il coinvolgimento del top management non è scontato, in quanto per anni si è recepita una sottesa resistenza al riconoscimento della figura del project manager, protagonista indiscusso del processo di cambiamento in atto del project management.
I project manager molto spesso sono coinvolti in progetti per i quali vi sono continui aggiornamenti di versioni (si pensi, ad esempio, ai progetti IT) o cambiamenti delle condizioni di partenza del progetto stesso. Sono sempre più frequenti, infatti, le situazioni in cui vi sono riassegnazioni di risorse, tagli di budget, cambi tra gli stakeholder del progetto e modifiche dei risultati: il flusso di informazioni da gestire è rapido e spesso non controllato, l’ambiente lavorativo è caratterizzato da una crescente versatilità e i collaboratori possono trovarsi dislocati a distanza e non più nell’ufficio di fianco.
Una volta i project manager erano ingegneri: l’unico criterio di selezione erano le competenze tecniche. Le decisioni tecniche, infatti, competevano al project manager e le decisioni di business agli sponsor di progetto.
La maggior parte dei project manager non avevano sufficienti competenze per gestire le relazioni tra le persone, non erano dotati di abilità interpersonali e di leadership e non avevano competenze per risolvere problematiche di carattere organizzativo oppure conflitti con implicazioni sulla pianificazione del progetto e sull’assegnazione di specifiche attività, in particolare, quelle con maggiore visibilità considerate le più premianti.
La maggior parte dei progetti viene gestita al di fuori della gerarchia tradizionale, per cui il project manager spesso ha delle limitazioni nell’esercizio della propria autorità necessaria per mantenere l’integrità dei progetti stessi. Per questa ragione, negli ultimi anni, è emersa l’importanza anche di competenze comportamentali, quali la comunicazione efficace, la negoziazione, la capacità di comprendere la natura delle persone, le tecniche motivazionali.
Il project manager del futuro è un fornitore di soluzioni in grado di proporre metodologie personalizzate per clienti e, possibilmente, per ciascun stakeholder, laddove l’empatia costituisce il principale alleato, intendendo per “empatia” quanto delineato da Adam Smith in The Theory of Moral Sentiments: “Per quanto egoista si possa ritenere un uomo, ci sono evidenti principi nella sua natura per cui è interessato alle sorti del prossimo e che gli rendono indispensabile l’altrui felicità, benché egli non ne guadagni nulla se non il piacere di contemplarla”.