La conformità alle norme e alle prassi che regolano il settore dell’antiriciclaggio ha assunto negli ultimi decenni un ruolo preponderante nell’attività d’intermediazione finanziaria, impegnando gli operatori in misura via via più rilevante.
La normativa antiriciclaggio si contraddistingue per la sua origine perlopiù extranazionale e polisettoriale: essa viene generata dalle Convenzioni internazionali e dalle linee guida promananti da vari organismi sovranazionali aventi ambiti di competenza diversi (Consiglio d’Europa, ONU, GRECO, OCSE, GAFI, Gruppo Egmont, Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria, ecc.).
Essa inoltre rispecchia il meccanismo circolare e il rapporto osmotico tra Stati e comunità internazionale che la caratterizzano. Difatti, le convenzioni e le raccomandazioni internazionali antiriciclaggio, che vengono sistematicamente riprese nei diritti interni degli Stati, traggono ispirazione dalla casistica portata nelle organizzazioni sovranazionali dai singoli Stati rappresentati al loro interno.
All’inverso, gli Stati sono sottoposti ciclicamente a monitoraggio e a valutazioni – sia di conformità tecnica che di efficacia del dispositivo antiriciclaggio – dalle menzionate organizzazioni. La normativa antiriciclaggio si presenta dunque come una case law ed è soggetta a continui adeguamenti dovuti all’evolversi delle casistiche nazionali che ne costituiscono la fonte. Il risultato è una normativa nazionale antiriciclaggio fluida e stratificata.
La valorizzazione della compliance quale elemento imprescindibile dell’economia è conseguenza della presa di coscienza da parte degli Stati dei danni economici e sociali che la non conformità alle regole di tale settore può produrre.
A livello macroeconomico, il riciclaggio di denaro altera, infatti, le condizioni di concorrenza tra le imprese ed è capace di intaccare i tassi d’interesse e i tassi di cambio fra valute; diminuisce gli introiti fiscali e mina la stabilità bancaria, e quindi finanziaria, del Paese. Ciò vale a maggior ragione per un Paese come la Svizzera, in cui il 9.4% del PIL è assicurato dall’attività finanziaria e il mercato del lavoro è fortemente influenzato dalla capacità occupazionale della piazza finanziaria.
A livello microeconomico, considerata l’alta incidenza del rischio reputazionale per la singola impresa intermediaria finanziaria, la competenza in materia di antiriciclaggio dei collaboratori della linea e del servizio compliance rappresenta un elemento chiave per la sua stessa permanenza sul mercato. Inoltre, proprio a causa del meccanismo di creazione delle norme antiriciclaggio sopra descritto – dalla casistica nazionale verso gli standard internazionali – gli intermediari finanziari sono diventati attori in prima linea nel sistema antiriciclaggio: le casistiche portate nei consessi internazionali sono tratte dall’esperienza degli intermediari finanziari, in particolare dai casi giudiziari e disciplinari i quali, a loro volta, traggono spesso origine – grazie al sistema della segnalazione proattiva – dalle comunicazioni di sospetto inoltrate dagli intermediari finanziari all’Ufficio di comunicazione in materia di riciclaggio di denaro (MROS) secondo l’art. 9 Legge sul riciclaggio di denaro (LRD) e l’art. 305ter cpv. 2 Codice penale.
Grazie alla reattività dei professionisti del settore finanziario, nel 2021 le comunicazioni di sospetto di riciclaggio di denaro si sono registrate in aumento (n. 5’964), ma il dato che meglio fotografa la diffusione della cultura della compliance è quello relativo alla causa delle comunicazioni di sospetto: anche nel 2021, come nel 2020, l’elemento principale alla base delle comunicazioni è stato il monitoraggio delle transazioni svolto dagli intermediari finanziari sulle loro relazioni d’affari (32.7%), e non più le informazioni provenienti dall’esterno (ad es. le notizie di stampa).
La normativa antiriciclaggio richiede agli intermediari finanziari non solo una conoscenza aggiornata delle regole, ma anche l’utilizzo di un sistema di controllo interno e di gestione dei rischi efficiente, una gestione lineare delle complessità delle transazioni e dei costi della sorveglianza attraverso l’implementazione di sistemi informativi ed informatici performanti, come dimostra il crescente utilizzo dell’intelligenza artificiale (machine learning, data mining, open source intelligence, ecc.) nonché una reazione in tempi rapidi a situazioni improvvise di rischio reputazionale.
Le cicliche revisioni in materia di antiriciclaggio confermano la necessità di implementare la cultura della compliance. Si pensi alle modifiche introdotte nel 2016 dalla Legge federale concernente l’attuazione delle Raccomandazioni GAFI rivedute nel 2012 nel Codice penale e nella LRD, fra le quali la trasparenza accresciuta delle persone giuridiche, l’identificazione dettagliata dell’avente diritto economico, l’introduzione dei delitti fiscali gravi come reati preliminari al riciclaggio, l’estensione della nozione di persona politicamente esposta, oppure a quelle introdotte nel 2021 e 2022 nella LRD sulla base delle raccomandazioni contenute nel quarto rapporto di valutazione GAFI della Svizzera del 2016, fra le quali l’assoggettamento alla LRD dei professionisti che forniscono servizi per la costituzione, gestione e amministrazione di società e di trust, la previsione esplicita dell’obbligo di verifica dell’identità e di attualizzazione delle informazioni riguardanti l’avente economicamente diritto, l’iscrizione nel registro di commercio degli enti a scopo non lucrativo.
In tale contesto normativo, improntato alla sorveglianza preventiva, all’orientamento al rischio e alla cultura della trasparenza, la garanzia di una compliance efficace è una cartina di tornasole per ogni intermediario finanziario e per l’intera piazza finanziaria.
Rosa Maria Cappa,
Avvocato associato presso Studio legale e notarile Gaggini & Partners Lugano