Per alcuni, il termine, reso popolare sui social, si riferisce a quei dipendenti che si limitano a svolgere il minimo indispensabile al lavoro per non essere licenziati. Per altri si tratta invece di una giovane generazione che fissa dei paletti precisi contro uno sfruttamento ingiustificato da parte dei datori di lavoro, a scapito di famiglia e vita privata. In questa circostanza i collaboratori fanno in modo di terminare il lavoro all’orario stabilito, senza concedere ore supplementari, si attengono scrupolosamente al mansionario e non accettano progetti troppo impegnativi, rifiutano la reperibilità continua.
Non è chiaro se ci troviamo di fronte ad una nuova tendenza oppure semplicemente si è cercato di dare un nome per descrivere l’agire di chi si sente stanco, annoiato o stressato dal lavoro. Sta di fatto che secondo la società americana di ricerca e consulenza Gallup, il trend sarebbe in aumento.
Alla base di un “abbandono silenzioso” vi sono differenti ragioni: un ambiente di lavoro tossico, la mancanza di comunicazione con il proprio superiore, un insufficiente riconoscimento per i risultati ottenuti e l’impegno profuso.
Sempre secondo Gallup, il “quiet quitting” è soprattutto il risultato di una leadership inadeguata e carente nel gestire il capitale umano. Solo un capo attento e pragmatico sa trattare e dialogare con il team, si informa di eventuali disagi, difficoltà e sofferenze. Talvolta basterebbe anche solo un gesto d’apprezzamento per ritrovare motivazione ed entusiasmo.
Le lacune di alcuni responsabili ci portano a parlare di un’altra tendenza purtroppo diffusa da tempo ma che oggi trova una specifica definizione, il “quiet firing”, ovvero il “licenziamento silenzioso”. Vi sono dei manager che pur di non affrontare un dipendente e intavolare una conversazione diretta e onesta su un problema di performance, evitano la discussione e sperano che il collaboratore capisca da solo che è tempo di abbandonare l’impiego.
Molti dirigenti, al giorno d’oggi, sono chiamati ad affrontare sfide organizzative complesse ed è nell’interesse del datore di lavoro che siano sufficientemente preparati e forniti degli strumenti necessari. Un calo dell’impegno dei collaboratori non è mai favorevole per il successo di un’impresa. Solo un confronto sincero tra le parti può portare ad un ambiente di lavoro che consenta ai dipendenti di prosperare e dare il meglio di sé.
Simona Mazzuchelli,
Consulente Senior
www.luisoni.ch