Nella prima ipotesi trattata dall’art. 374 CO, committente e appaltatore non hanno concordato alcunché con riferimento alla retribuzione di quest’ultimo, oppure hanno espressamente pattuito che tale retribuzione sarebbe stata fissata a seconda dell’effettivo dispendio profuso dall’appaltatore. La seconda ipotesi, per contro, ritorna applicabile nel caso in cui committente e appaltatore si siano accordati, in modo vincolante, per un cosiddetto “Circa-Preis”, ovverosia sui limiti massimo e minimo della retribuzione dovuta.
In entrambi i casi spetterà all’appaltatore, in caso di controversia, fornire la prova dell’effettiva esecuzione delle lavorazioni esposte in fattura nonché della congruità dei relativi importi. In altre parole, quindi, l’appaltatore dovrà provare la corrispondenza tra il valore del lavoro prestato, inclusivo delle spese sostenute nell’ambito dell’esecuzione delle opere affidategli nonché di un adeguato supplemento a titolo di utile e rischi (c.d. retribuzione secondo il dispendio), e il prezzo finale fatturato al committente.
Nell’esporre, sostanziare e spiegare nel dettaglio natura e portata delle singole voci esposte in fattura in conformità a quanto prescritto dalla giurisprudenza in materia, l’appaltatore, su cui grava il relativo onere probatorio, potrà, tra gli altri, basarsi sui rapporti a regia allestiti in corso d’opera.
Tali rapporti, se controfirmati dal committente o da un suo rappresentante, esplicano l’effetto di una presunzione di fatto della correttezza delle indicazioni ivi riportate dall’appaltatore con riferimento al volume del dispendio profuso (ad es. in termini di esattezza delle ore di lavoro prestate, delle ore di impiego dei macchinari, dei quantitativi di materiale adoperato, ecc.).
Il committente sarà quindi chiamato, in giudizio, a “scuotere” questa presunzione di fatto, ossia a insinuare nel giudice il dubbio – con una contro-prova diretta, oppure un indizio divergente – che la portata dell’effettivo dispendio sostenuto dell’appaltatore è invero inferiore a quella esposta in fattura, ad esempio perché i quantitativi di materiale riportati dall’appaltatore nei suoi rapporti non corrispondono a quelli effettivamente utilizzati in cantiere.
I rapporti a regia potranno inoltre essere adoperati dall’appaltatore, in causa, quale indizio del fatto che il dispendio profuso – oltre a corrispondere, in termini di volume, a quello fatturato – era altresì quello necessario, in applicazione della diligenza richiesta dalle circostanze, per portare a termine le opere appaltate. Nell’ambito dell’art. 374 CO, infatti, l’appaltatore potrà unicamente chiedere il pagamento del dispendio necessario ad esclusione, dunque, di eventuali spese aggiuntive che, in caso di esecuzione diligente delle opere affidategli, si sarebbero potute evitare.
Anche con riferimento a quest’ultimo aspetto varrà, in giudizio, quanto spiegato con riferimento ad ampiezza e volume del dispendio profuso.
Il committente che intende contestare adeguatezza e necessarietà dei costi fatturati dall’appaltatore dovrà pertanto, se ha sottoscritto i rapporti a regia dell’appaltatore, scardinare la presunzione di fatto in favore della necessarietà delle lavorazioni ivi riportate.
In un caso come nell’altro, giova nondimeno ricordare che i bollettini a regia, anche se vistati dal committente o da un suo rappresentante, non costituiscono un riconoscimento di debito ai sensi dell’art. 82 LEF né comportano una inversione dell’onere probatorio con riferimento a correttezza e adeguatezza delle indicazioni ivi contenute. L’appaltatore dovrà quindi in ogni caso, in giudizio, allegare, sostanziare e comprovare l’effettiva esecuzione delle opere esposte in fattura così come la loro congruità per rispetto al prezzo fatturato.
Infine, per completezza, va parimenti evidenziato che la giurisprudenza ha già avuto modo di giudicare nullo, siccome contrario ai buoni costumi, un accordo che subordinava il diritto dell’appaltatore alla mercede alla sottoscrizione da parte del committente dei rapporti a regia.
Avv. Michele Bernasconi