La diversità delle tematiche sovente lascia in secondo piano un apparente dettaglio, onnipresente, specie nei rapporti italo-svizzeri.
Dettaglio che, data la costante presenza, sembra quasi sfuggire e passare in secondo piano. Si tratta della disciplina prevista dal comma 2-bis dell’art. 2 del Testo Unico sulle Imposte sul Reddito (cd. TUIR, d.P.R. 917/1986) cui la determinazione della residenza fiscale in casi cross-border soggiace.
La norma citata pende come una spada di Damocle su coloro i quali si trasferiscono all’estero e decidono, loro malgrado, di muoversi in un Paese bollato con il marchio della black-list, della lista nera. Se si rammenta che questa lista è contenuta in un Decreto Ministeriale del 4 Maggio 1999, la reazione di sgomento è quasi d’obbligo. Tanto più se si pensa che tra questi Paesi, nonostante l’allineamento alle richieste internazionali, nonostante lo scambio di informazioni, la Svizzera è ancora presente.
Tendenzialmente, nelle risposte ufficiali rese dall’Amministrazione finanziaria italiana non si scende mai nell’analisi dettagliata dello status di residenza fiscale del contribuente, in quanto ciò richiede “la verifica di elementi fattuali che esulano dall’istituto dell’interpello ordinario”. La norma citata, infatti, dispone una presunzione secondo la quale il cittadino italiano che si trasferisce in un Paese black-list, come, ad es., la Svizzera, a prescindere dalla correttezza del suo comportamento, dal rispetto degli adempimenti burocratici previsti, dall’iscrizione all’Anagrafe degli italiani all’estero (AIRE), dal possesso di un permesso di dimora, dal versamento delle imposte in Svizzera, continuerà ad essere considerato come residente a fini fiscali in Italia.
L’unica possibilità di sottrarsi allo stigma della lista nera è fornire una sorta di “prova diabolica” in sede di accertamento, ossia esclusivamente ex post. Spesso, stando agli esiti dei contenziosi italiani, in queste circostanze, a nulla valgono le attestazioni fornite dalle autorità svizzere relativamente al versamento delle imposte del contribuente qui residente.
Apparentemente queste considerazioni sembrano segnalare un problema di scarso impatto, dato dalla mancanza di enfasi posta dalle autorità e dagli atti ufficiali, ma il famoso comma 2-bis dell’art. 2 TUIR sottende il principio per il quale la residenza fiscale svizzera di contribuenti provenienti dall’Italia non sia attendibile. Tale sfiducia, basata su requisiti di più di vent’anni fa, mina le basi proprie del diritto internazionale.
La residenza fiscale, infatti, rappresenta il criterio principale utilizzato dai diversi Paesi per ripartire, in casi cross-border, il diritto di tassare. In presenza di eventuali conflitti, le norme convenzionali, nel nostro caso della Convenzione contro le doppie imposizioni italo-svizzera, saranno dirimenti. Peccato che, dati alla mano, la presunzione del comma 2-bis osti ad un’applicazione lineare della Convenzione, ostacolando l’eliminazione della doppia imposizione cui il contribuente va incontro.
Simili risultati saranno ancor più all’ordine del giorno con lo svilupparsi del telelavoro, soprattutto in assenza di un accordo appropriato.
La determinazione del Paese di residenza del contribuente è fondamentale per definire la spartizione della potestà impositiva tra Italia e Svizzera in caso di reddito da lavoro dipendente e, soprattutto, è necessaria per identificare quale Paese debba procedere allo sgravio dalla doppia imposizione, concedendo l’esenzione oppure un credito d’imposta. Dettaglio non di poco conto.
Consapevole di un simile aggravio, la Svizzera già nella Roadmap del 2015 chiedeva che si procedesse all’eliminazione della “lettera scarlatta” di Paese black-list. Se è vero che nel 2020 i due Paesi hanno siglato il nuovo Accordo sulla fiscalità dei frontalieri, gli altri punti restano ancora insoluti.
Speriamo il 2023 sia l’anno buono per eliminare le trincee in cui la Svizzera è relegata da disposizioni italiane specchio di una realtà ormai obsoleta ed abbracciare un nuovo dialogo all’insegna della collaborazione e della certezza del diritto.
Francesca Amaddeo,
avv. dr. iur., Docente-Ricercatrice Centro Competenze Tributarie
Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana
Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale