Presidente Pesenti, siamo in un momento complicato per l’Europa (guerra in Ucraina, crisi in Medio Oriente). Come sappiamo la Svizzera ha intensi rapporti con i paesi europei. Questa delicata situazione che influenza ha sul nostro Paese e sul Ticino economico?
Questi eventi provocano evidentemente degli ostacoli all’attività economica, soprattutto per chi esporta, e un aumento di diversi costi, ad esempio energia, trasporti, materie prime e semilavorati. L’industria è probabilmente il settore economico più esposto a queste situazioni, come pure a fenomeni più direttamente economici quale l’alto livello del franco svizzero o la debolezza dei mercati dove esportiamo, principalmente l’Unione europea. Non è una novità e in genere proprio l’industria ticinese ha saputo dimostrare capacità di resilienza. Ma non si può lavorare costantemente in condizioni difficili per molto tempo. Purtroppo sono diversi anni che siamo confrontati a crisi economiche e finanziarie, evoluzioni monetarie incerte e conflitti bellici o tensioni politiche. Tutto ciò indubbiamente penalizza le nostre imprese, che fanno dunque molta fatica a crearsi margini di manovra ad esempio per fare investimenti.
Il 50% delle esportazioni da parte delle nostre industrie va in Europa. Crede che questa percentuale potrebbe cambiare e altri mercati potrebbero aprirsi?
Sì, indubbiamente negli ultimi dieci anni le esportazioni al di fuori dell’Europa sono cresciute, anche perché la Svizzera saggiamente ha moltiplicato gli accordi di libero scambio con altri paesi importanti, pensiamo ad esempio alla Cina e all’India. Ma non facciamoci troppe illusioni. L’Europa è e resterà ancora a lungo il nostro principale mercato di riferimento. Per questa ragione dobbiamo mantenere relazioni economiche bilaterali molto solide con l’UE. Dobbiamo certamente aumentare gli scambi commerciali con gli Stati Uniti e i paesi asiatici emergenti come il Vietnam e altre nazioni, senza dimenticare i paesi del Sudamerica. Ma senza perdere per strada l’insieme delle nostre relazioni commerciali con l’UE.
Come osserviamo l’Europa sta cambiando a livello politico. Crede che questo sia un bene o un male per la Svizzera?
Noi dobbiamo essere in grado di lavorare con i paesi europei indipendentemente dal colore politico di chi li governa. Detto questo, agli imprenditori preoccupa certamente la frammentazione politica che sta prendendo piede anche in Europa, ultimo esempio la Francia e l’instabilità che ne deriva.
È necessario dialogare con paesi concentrati sulla necessità di moltiplicare gli scambi economici. Oggi questo non è più così certo proprio perché i governi nazionali sono alle prese non solo con difficoltà economiche ma anche con la frammentazione e le tensioni politiche crescenti.
Crede che questi cambiamenti macro politici potranno avere un’influenza sugli accordi bilaterali?
Siamo consapevoli che le trattative con l’UE per definire in maniera più stabile accordi bilaterali destinati ad evolvere nel tempo saranno molto difficili. D’altra parte credo che in linea generale la Svizzera goda di buona reputazione e accettazione nei paesi dell’Unione europea. Dobbiamo essere in grado di negoziare in maniera abile e credibile e ciò passa anche da relazioni personali fra ministri che sono allo stesso modo importanti. Le recenti elezioni europee ci hanno riconsegnato un’UE che non è stata stravolta a livello parlamentare e dei rapporti di forza. Non so dire ora se questo sia un bene oppure no, ma noi e l’UE ci conosciamo bene. Ora deve prevalere la volontà di trovare un accordo che duri nel tempo e non sia soggetto a invecchiamento come è invece il caso degli attuali accordi bilaterali. Dobbiamo essere trasparenti con i cittadini: su determinati dossier e aspetti potremo far prevalere il nostro punto di vista, su altri invece dovremo adattarci noi. Non vince o non perde mai uno solo.
In questo senso due aspetti strettamente legati all’Ue sono la questione energetica e quella formativa. A suo giudizio ci saranno ripercussioni in questi ambiti?
Un accordo sull’energia fa parte delle discussioni attuali sui cosiddetti bilaterali 3 fra Svizzera e Unione europea. Soprattutto per l’industria e considerata la posizione centrale della Svizzera nel continente europeo, un accordo che ci garantisca sicurezza nell’accesso e nel transito dell’energia è per noi molto importante. Quanto alla formazione, credo che qui si debba agire molto di più sul piano bilaterale, ad esempio fra Svizzera e Italia se vogliamo parlare di formazione professionale. Una questione importante è quella del riconoscimento reciproco dei diplomi fra Svizzera ed Europa. Il nostro sistema duale della formazione è quasi un unicum nel mondo e ancora attualmente vi sono delle difficoltà nel vedersi riconoscere all’estero i nostri diplomi professionali. Credo che la formazione dovrebbe avere maggiore importanza in futuro nell’ambito delle relazioni fra Svizzera e UE. Anche per affrontare l’annosa questione del declino demografico e della ricerca di personale specializzato.
Il Ticino industriale del 2025 sarà diverso da quello attuale o più o meno simile?
Direi che la situazione almeno per il momento è abbastanza orientata alla stabilità. Il portafoglio ordini si mantiene, anche se in diversi rami non cresce particolarmente. In alcuni rami industriali vi sono però già avvisaglie di un rallentamento economico. Abbinato ciò a una situazione di costi crescenti per le imprese, la situazione si traduce in un’evoluzione congiunturale che resta comunque difficile. Dobbiamo comunque attendere la seconda parte dell’anno per fare valutazioni maggiormente precise sull’evoluzione della congiuntura.
Oliviero Pesenti,
Presidente di AITI
www.aiti.ch