Direttore Ortelli, da dove nascono queste proposte?
Evidentemente nascono da una profonda conoscenza del mondo della formazione professionale accumulata negli anni con particolare attenzione alla formazione duale, quella formazione che senza dubbio resta al centro del nostro sistema formativo come porta di accesso alle professioni, ma che negli ultimi anni sembra essere in difficoltà.
Non certo nella narrazione, anche un po’ retorica, della politica ma concretamente.
Con una diminuzione costante di giovani che a livello nazionale scelgono il percorso in azienda, così come un generale impoverimento dei profili che si avvicinano alle nostre professioni edili e dell’artigianato.
Concretamente come potrebbero le due iniziative aprire delle prospettive di miglioramento?
Direi che nelle stesse si possano intravvedere tre obiettivi.
Il primo è generale. Cercare di valorizzazione il sistema duale sempre più minacciato da formazioni a tempo pieno che tendono a bypassare la formazione duale. Dare più formazione e qualità significa difendere la formazione di base in azienda e il suo valore.
Il secondo è quello legato alla tematizzazione semplice, quanto un po’ scomoda, della domanda: “Come ad oggi, i nostri diplomi sono in grado di fornire giovani pronti concretamente ad entrare nel mondo del lavoro?” Io dico, senza riserve, come dei contenuti delle ordinanze di formazione, cioè del livello formativo atteso, a fine apprendistato, possiamo essere contenti se il 65% degli stessi è raggiunto.
Questo significa che il tempo di formazione a fronte delle capacità individuali e della maturità dei nostri ragazzi e della struttura formativa di molte aziende, anche influenzate dai processi di lavoro attuali diversi dal passato, è insufficiente. Quindi ecco come la semplice correzione di una formazione duale di 4 anni per i curricula che ancora oggi sono di 3 per tutte le professioni, può essere la soluzione al miglioramento della qualità.
Più tempo per preparsi e più tempo per acquisire a pieno la formazione disciplinare. Se non facciamo questo consegniamo giovani destinati a cercare altro o ad essere espulsi troppo presto dal mercato del lavoro. Il tema della seconda lingua è una conseguenza diretta di questa evidenza, che tiene anche in considerazione un altro aspetto importante legato al fatto che quelle nel duale sono formazioni di base, e quindi destinate ad aver un alto numero di giovani che poi faranno altre scelte, e quindi il mantenimento di competenze linguistiche anche nell’apprendistato potrebbe rivelarsi un fattore di accresciuta capacità competitiva per il loro futuro.
Il terzo è prettamente politico. Non sono così ingenuo da non capire che la centralità delle organizzazioni del mondo del lavoro nella definizione delle ordinanze di formazione non può essere messa in discussione (azione che peraltro sarebbe un grave errore), però è pur sempre responsabilità della politica sostenere e spingere tutte le professioni verso uno statuto di riconoscimento equiparabile, e quindi puntando su percorsi in grado di garantire una qualità formativa, di base appunto, la migliore possibile.
Un solo esempio: dei ragazzi che non superano l’esame di fine tirocinio, più dell’80% ottiene un prolungo di contratto aziendale per ripetere l’anno. Insomma per molte professioni il quarto anno esiste già, ma si declina purtoppo attraverso un insuccesso.
Immagino che su questi temi, con la sua lunga esperienza, si sia anche confrontato con chi si muove e si impegna in ambito associativo, cosa ne dicono?
Questa domanda mi permette di chiarire un aspetto importante, che forse ci distingue in modo positivo dal resto della Svizzera. Ho condiviso, e lo faccio da anni, queste riflessioni e credo di poter affermare che per gli imprenditori ticinesi, che si impegnano quotidianamente nella formazione, questo non sia un tema. Anzi sono in molti a chiedersi il perchè di queste discrepanze.
Per quanto concerne la seconda lingua invece la questione è semplice. I ragazzi formati attraverso un’apprendistato e che restano nei ripettivi settori professionali dovranno farsi carico del ricambio generazionale in corso, tema che preoccupa molti settori economici. Sono loro destinati ad essere i futuri capi, i futuri quadri aziendali, quelli che si confronteranno con i professionisti dei loro settori, con autorità e committenti, e in tutto questo, il mantenimento di conoscenze di base linguistiche potrebbe porsi indiscutibilmente come un valore aggiunto.
Per concludere, la domanda più importante: cosa si aspetta da questi atti?
Mi aspetto che la politica cantonale in primis, quindi il Gran consiglio, rispondano “presente”, lanciando a Berna un segnale di come troppo spesso la narrazione anche un po’ poetica sulla formazione duale debba essere continuamente rivisitata, sostenuta e messa in discussione analizzando e scendendo nei meandri della sua qualità effettiva. Se questo segnale partirà dal Ticino, che spesso è la frontiera di molti cambiamenti che a seguire arrivano in tutta la Svizzera, credo si potrà essere contenti.
Non mi faccio troppe illusioni su un ascolto pieno, ma avviare una riflessione grazie al Ticino, mi renderebbe davvero fiero.
Arch. Paolo Ortelli,
Direttore Centro formazione professionale Gordola
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