È già a mio giudizio il problema principale del cantone Ticino. Nei prossimi dieci anni circa, la generazione del “baby boom”, cioè i nati dalla fine degli anni ‘50 all’inizio degli anni ‘70, lascerà il mondo del lavoro per raggiunti limiti di età. Stiamo parlando di alcune decine di migliaia di persone che formalmente se ne andranno in pensione, liberando nel contempo tanti posti di lavoro.
E il problema sta proprio qui. Complice il calo demografico in atto da diversi anni e che concerne non solo la Svizzera ma oramai tutti i paesi industrializzati e ora persino paesi come la Cina, la popolazione lavorativa si sta riducendo a ritmi più o meno sostenuti.
Manca anche il personale non qualificato
La riduzione delle nascite e la progressiva mancanza di profili professionali non riguarda oramai più solo le persone qualificate e specializzate bensì anche i collaboratori meno qualificati. Mediamente oggi possiamo indicare che per un concorso aperto per una posizione professionale presso un’azienda, concorre circa la metà delle persone rispetto a dodici mesi fa. Nell’amministrazione pubblica la tendenza è la medesima. Cosa sta succedendo? Il calo demografico si somma a un mutato atteggiamento delle nuove generazioni verso il lavoro. Tendenzialmente si cerca un posto di lavoro a tempo parziale e la carriera professionale come l’ha intesa la generazione del baby boom – un avanzamento progressivo più o meno regolare – viene sostituita da esperienze professionali che non hanno necessariamente una continuità. La fedeltà al datore di lavoro e al posto di lavoro vengono considerati concetti arcaici. Il fatto di cercare un equilibrio fra vita professionale e vita personale è certamente positivo, ma bisogna essere consci del fatto che nel nostro sistema economico quello che sta succedendo per ragioni anagrafiche e personali ha delle conseguenze.
Infatti, con una popolazione in progressivo invecchiamento e senza ricambi sufficienti, sono destinati a diventare finanziariamente insostenibili tanto il sistema previdenziale quanto quelli sociale e sanitario. Tendenzialmente, la distanza fra ceti più agiati e popolazione più povera tornerebbe ad allargarsi.
Quali soluzioni?
Già dieci anni fa e più la nostra organizzazione avvisava le istituzioni di questo Cantone dell’avanzare del fenomeno dell’invecchiamento della popolazione e delle gravi conseguenze che tale fenomeno avrebbe causato all’economia e alla società. Abbiamo parlato nel deserto, nell’incosapevolezza del problema che si stava avvicinando pericolosamente. La mancanza strutturale del personale aumenta il pericolo che le attività economiche semplicemente spariscano. Nella nostra realtà cantonale, fatta per oltre il 90% di piccole aziende con meno di 10 dipendenti, il rischio è ancora maggiore rispetto a quei territori dove la percentuale di aziende più grandi è superiore.
I processi di automazione e l’utilizzo esteso delle tecnologie possono compensare la mancanza di personale ma non in tutte le professioni e attività. La tecnologia stessa tramite il proprio sviluppo genera nuove esigenze professionali che a loro volta non possono essere soddisfatte completamente. Una sorta di gatto che si morde la coda.
In Svizzera sicuramente è necessario aumentare la quota di donne che entra e resta nel mondo del lavoro. Mentre da un lato non crediamo che politiche di incremento delle nascite portino i risultati attesi, anche perché l’atteggiamento verso la composizione della famiglia è cambiato; dall’altro lato è necessario estendere le politiche e soprattutto le strutture e i servizi che permettano una migliore conciliabilità fra lavoro e famiglia.
Ma questo non basta e probabilmente è necessario approfondire seriamente anche le soluzioni nell’ambito delle politiche dell’alloggio e della formazione. Uno sguardo d’insieme che dovrebbe essere preso a carico dalle istituzioni e dalla politica, anche se oramai è tardi.
Nel “pacchetto” dei possibili interventi occorre considerare anche due altri concetti molto importanti. In primo luogo l’età del pensionamento, che inevitabilmente dovrà essere alzata e resa più flessibile. Abbiamo bisogno di un sistema nel quale si tenga conto anche del tipo di attività svolta dalle persone, di modo che il sistema pensionistico non penalizzi eccessivamente chi va in pensione prima o un po’ prima degli altri. D’altro canto non può più rappresentare uno scandalo pensare ad un’età di pensionamento di 70 anni per tutte quelle professioni che possiamo definire meno logoranti. Ma il discorso merita migliore approfondimento.
C’è poi la questione quasi tabù dell’immigrazione. Compensare almeno parzialmente la curva demografica negativa attingendo a manodopera dai paesi esteri. A parte il fatto che si tratta di un tema politico delicato, non solo nel cantone Ticino, bisogna prendere atto che la curva demografica è negativa anche negli altri paesi industrializzati. La Svizzera da alcuni decenni ha cambiato la propria politica d’immigrazione privilegiando i paesi dell’Unione europea e contingentando la manodopera proveniente da fuori Europa. Negli anni questi contingenti si sono estesi in quanto la ricerca di personale specializzato da parte delle aziende si è scontrata con la rarefazione della manodopera anche nell’Unione europea.
Chi vincerà la sfida demografica?
Il cantone Ticino è la regione della Svizzera con la maggiore quota di popolazione oltre i 65 anni, circa il 25%. L’età media della popolazione è oltre i 46 anni e si sta dunque avvicinando rapidamente ai 50 anni. Siamo messi peggio dell’UE che raggiungerà l’età media di 49 anni verso il 2050 secondo le previsioni.
La questione demografica a nostro giudizio dovrebbe essere posta al centro dell’agenda politica.
Il calo demografico ha un effetto negativo sullo sviluppo economico e l’innovazione e pone le basi quantomeno per una crescita inferiore del prodotto interno lordo. Se la questione demografica non sarà affrontata seriamente dobbiamo attenderci, anche in Ticino, una perdita di attività economiche e di posti di lavoro e un impoverimento del benessere della popolazione.
Stefano Modenini,
Direttore AITI
www.aiti.ch