In principio fu il Covid. Più di due anni di pandemia, probabilmente non ancora terminata. Il risultato? Una lunga situazione di incertezza in termini di approvvigionamento, rallentamento economico e attività obbligate a ridurre o perfino interrompere la loro produzione. Un contesto reso sostenibile soltanto dal tempestivo e massiccio intervento dello Stato che ha garantito, con rendite di vario genere, la sopravvivenza della maggior parte delle attività economiche.
Nemmeno il tempo di archiviare vaccini e mascherine ed ecco che la situazione precipita nuovamente. Il contesto geopolitico europeo muta in maniera radicale nel volgere di alcune settimane. Dopo decenni senza alcun conflitto in Europa e una narrativa votata alla coesione e alla cooperazione, ecco che l’invasione russa dell’Ucraina fa risprofondare il continente in una situazione quasi surreale
. Questo conflitto, oltre alla becera tragedia umanitaria, comporta una serie di conseguenze economiche importanti anche per la nostra nazione. Da un lato l’aumento dei prezzi dell’energia che per le aziende si traduce in bollette con importi moltiplicati perfino di 5-10 volte rispetto a prima. Dall’altro la grandissima difficoltà a reperire le materie prime con le quali poter produrre. Materie prime che, proprio a causa della loro scarsità, sono nel frattempo aumentate di prezzo.
Ma ancora non basta. L’inflazione galoppa e solo l’intervento della Banca nazionale permette di mantenerla entro livelli tollerabili. Ecco che la spesa nel carrello diventa improvvisamente più cara e il nostro potere d’acquisto diminuisce. Lo stesso vale per le aziende che si trovano a dover produrre malgrado i costi nettamente superiori e a vendere ad acquirenti che hanno maggiori difficoltà ad acquistare i prodotti.
Con la crescita dell’inflazione e l’autunno ormai quasi alle porte, si riaccende il solito dibattito sull’aumento dei salari a fine anno. Aumento che, secondo alcuni, si giustificherebbe automaticamente a causa proprio della perdita di potere d’acquisto. Niente da obiettare a livello ideale. Ma dobbiamo chiederci dove le aziende troveranno il denaro per sostenere la richiesta dell’aumento della massa salariale.
E il franco svizzero? Quale moneta rifugio, in tempi difficili, la tendenza rispetto alle altre valute è quella di apprezzarsi. Pochi giorni fa, 1 euro era scambiato con 0,96 franchi svizzeri. Se questo da un lato rende vantaggioso, anche per le aziende, acquistare beni all’estero, dall’altro le esportazioni non sono certo facilitate. Un franco così forte diventa un ostacolo importante e il trend nei prossimi mesi difficilmente sarà invertito.
Aggiungiamo un ultimo elemento. In Svizzera, è sempre più difficile reperire manodopera. Specialmente se pensiamo a quella specializzata. Con il pensionamento dei baby-boomer, si assiste a una forte diminuzione della forza lavoro. Queste persone vengono di fatto meno sul mercato del lavoro, lasciando lacune da colmare negli ambiti più specifici. In pochi anni, si stima, passeremo da 1,6 a 2,6 milioni di persone in pensione. Malgrado questo, le aziende devono riuscire a ingegnarsi per trovare soluzioni che garantiscano la continuità operativa e il mantenimento del know-how anche in futuro.
Analizzando i singoli settori economici, ci potremmo dilungare nel dettaglio delle molteplici difficoltà da affrontare. Ma in questo contesto, così oscuro e nebuloso, abbiamo anche buone notizie: le aziende non hanno perso di vista la loro stella polare. Quella stella che per ogni imprenditrice e imprenditore brilla come un faro.
Quella luce che nei momenti più bui rischiara il cammino e indica la rotta da tenere per raggiungere gli obiettivi fissati. Abbattersi, mollare tutto e arrendersi a un contesto sempre più difficile e spesso poco gratificante sarebbe certamente una facile tentazione. Invece, malgrado le difficoltà, l’industria svizzera continua a produrre eccellenza.
Lo fa, spesso in silenzio, ogni singolo giorno, sviluppando progetti all’avanguardia che tutto il mondo ci invidia. Vantiamo prodotti unici che solo noi siamo in grado di fornire. Se questo è possibile, lo dobbiamo a chi guida queste aziende e non si fa distrarre dal contesto nefasto ma tiene gli occhi ben fissi, in direzione della sua stella polare.
Non vuole essere questo un articolo di carattere mistico, quanto piuttosto un inno alla resilienza delle nostre industrie, fatte in primo luogo e soprattutto da persone. Imprenditrici e imprenditori che, in mari agitati, devono trovare il modo di mantenere la rotta senza incagli, portando nave e equipaggio anno dopo anno in porti sicuri. Persone chiamate a garantire la continuità del viaggio grazie anche e soprattutto a collaboratrici e collaboratori motivati che credono nella destinazione finale.
Persone unite che remano nella stessa direzione cercando di anticipare venti avversi e capaci di imboccare nuove vie a vele spiegate. Persone che, quando la nave imbarca acqua, non si abbandonano al pessimismo ma trovano un modo per uscire dalla difficoltà. Perché no, utilizzando anche l’acqua imbarcata per trasformarla in qualcosa di positivo, uno stimolo per innovarsi, un’idea per prepararsi alle onde future e continuare così anche in futuro a produrre l’eccellenza.
È grazie a queste professioniste e professionisti che possiamo guardare al futuro con ottimismo.
Marco Martino,
Responsabile di economiesuisse per la Svizzera italiana
www.economiesuisse.ch