Questo sembra essere il nuovo percorso dopo la epidemia mondiale, e che proseguirà terminato l’attuale conflitto est-europeo.
Lo scenario esaminato nel report “La trasformazione digitale come motore della ripresa” del World Economic Forum-WEF riassume e conferma che ormai abbiamo smesso di intendere la digitalizzazione come una delle variabili del nostro sviluppo. Anzi, proprio le complicazioni avviate dalla pandemia ora ci convincono che la evoluzione artificiale dei modelli socio-industriali, la cosiddetta digital transformation, è la formula anti-crisi per quella crescita di lungo periodo cui aspiriamo noi tutti, inclusi i bilanci delle pubbliche amministrazioni.
Archiviamo dunque le futuribili previsioni che hanno ispirato le cronache sino al 2020.
La digital trasformation attualmente in corso porta a riprogrammare le nostre priorità, oltre che a ridefinire la essenza e la autonomia delle procedure industriali.
Insomma, da fattore divisivo la digital transformation si è involontariamente trovata a diventare occasione per un ripensamento delle relazioni della società, a tutti i livelli: catene di approvvigionamento, forza lavoro, consumatori, amministrazioni governative e gruppi aziendali. Per adeguarsi, industria e società ora stanno revisionando in base ai nuovi protocolli digitali non solo le priorità individuali ma anche le catene di valore; entrambe, non dimentichiamolo, oltre che utili a produrre reddito aziendale e beni per i consumatori, convergono nel generare introiti per le amministrazioni statali.
A guidare la rivoluzione informatica troviamo i digital leaders e le loro attitudini.
Tra il 2017 ed il 2019 in oltre la metà dei casi la sostanza prodotta dai nativi digitali è progredita del 10%, contro un modesto 30% registrato dai commerci tradizionali, penalizzati da vendite a contante e spiazzati dalle nuove abitudini dei consumatori.
Come interpretare questi cambiamenti? Innanzitutto, le priorità socio-ambientali del pubblico ora sono ispirate a modelli di consumo orientati a priorità di lungo periodo, in modo circolare, e che considerano le esigenze dei singoli ma anche quelle della collettività pubblica e privata come un tutt’uno.
Facile a dirsi: se ancora nel 2019 l’industria investiva nel digitale oltre 1.2 miliardi di dollari, in effetti solo il 13% dei dirigenti era convinto che le aziende si sarebbero informatizzate.
Nel triennio destinato a concludersi a fine anno, l’industria è invece diventata consapevole che l’intelligenza artificiale è fondamentale per elaborare nuove modalità di profitto. Quest’ultimo, piaccia o non piaccia, come in passato anche in futuro dovrà comunque essere realizzato prima di venire redistribuito alla collettività.
Ecco riassunte le modalità digitali che ora riabilitano il valore della produzione e portano a convergere gli interessi della società civile e degli azionisti.
La produzione, resa agile da strategie manageriali rapide ed affrancate da polverose gerarchie aziendali, ora si ripresenta come capacità di imporsi nel commercio digitale, e non più solo verso i concorrenti.
Queste innovazioni rivoluzionano anche i canali distributivi, che archiviano gli imperativi low-cost e just-in-time, tutto-subito ed a prezzi-stracciati, ed entrano in sintonia con la sensibilità degli operatori attivi sul territorio, agilissimi ad intercettare e fidelizzare i consumatori.
La digital transformation, insieme al marketing, sta rivoluzionando anche le decisioni aziendali: i dati storici nel 63% dei casi ormai rappresentano un problema e non più un indirizzo strategico.
Infatti siamo in cammino verso strategie predittive, “granulari”, elaborate su dati omogenei, aggiornati ininterrottamente dalla AI.
Anche i dipartimenti vendite sperimentano la rivoluzione della digital transformation, e si adattano alle nuove istanze dei consumatori in tema di sensibilità ambientale ed equità sociale, oggi popolari come Environmental, Social, and Corporate Governance-ESG.
Percorrendo la catena produttiva, la ridefinizione di valore e marketing ha implicato anche una verifica delle competenze decisionali.
Nell’ultimo triennio il 42% delle strategie aziendali si è dovuto aggiornare.
Lo stesso dicasi per le competenze del 54% della forza lavoro.
Insomma, come risultato del ripensamento di queste procedure la digitalizzazione ora personalizza le filiere commerciali, spingendosi ad elaborare piani di vendita o finanziamenti allineati alle capacità ed alle specifiche esigenze degli individui.
Fateci caso. Avete letto bene: esigenze.
Perché uno degli effetti collaterali delle incertezze socio-economiche degli ultimi mesi è stato ricordare agli stakeholders, ai protagonisti della nostra collettività ormai viziata dall’individualismo garantito da internet, che la società cui tutti apparteniamo in una maniera solo apparentemente indistinta, è invece composta da gruppi con differenti aspirazioni, possibilità ed origini, ma tutti collettivamente orientati a migliorare le condizioni personali del proprio futuro.
Andreas Grandi