In primo luogo, la responsabilità dell’architetto va per l’appunto distinta, nei limiti del possibile, da quella dell’appaltatore o impresario che dir si voglia.
Un difetto dell’opera realizzata dall’impresario, infatti, non è necessariamente imputabile a quest’ultimo, se l’origine della difettosità è piuttosto da ascrivere a un errore in sede di progettazione. Per contro, però, è del pari possibile che entrambi i soggetti in discussione portino, con riferimento al difetto lamentato, una certa percentuale di responsabilità concomitante, ad esempio nel caso in cui l’impresario avrebbe potuto e dovuto avvedersi dell’errore di progettazione alla base del difetto e darne tempestiva notizia al committente.
In un caso come nell’altro, nel dubbio e per scrupolo, è comunque consigliabile – in una prima fase – notificare il difetto a tutti i soggetti potenzialmente portanti una qualche forma di responsabilità per rispetto al medesimo.
Del pari, con riferimento a possibili addentellati giudiziari, è altrettanto consigliabile convenire, quantomeno in sede di conciliazione, tanto l’architetto quanto l’appaltatore così come, a seconda delle circostanze di specie, altri professionisti che hanno prestato i loro servizi nell’ambito della realizzazione dell’opera risultata difettosa.
Quanto a, nello specifico, la responsabilità dell’architetto, giurisprudenza federale e cantonale ne hanno, nel recente passato, chiaramente delineato i contorni.
La prima discriminante consiste nella qualificazione del contratto concluso dall’architetto con il committente. Il cosiddetto contratto di architetto è, secondo la giurisprudenza del Tribunale federale, un negozio giuridico misto: l’elaborazione del preventivo, l’aggiudicazione delle opere agli artigiani e la direzione dei lavori sono assoggettate alle norme del mandato; altre prestazioni, quali ad esempio l’esecuzione dei piani e del progetto definitivo, sono sottoposte alle norme sull’appalto.
A seconda delle specificità del compito affidato all’architetto, dunque, è possibile che la responsabilità per difetti vada individuata nell’art. 398 CO oppure negli artt. 368 e segg. CO (a meno che le parti non abbiano dichiarato applicabile la norma SIA). Nel primo caso sarà di precipua importanza, pena la perdita dei diritti di garanzia, notificare tempestivamente il difetto, mentre nel secondo caso l’eventuale, mancata notifica del difetto non pregiudicherà la posizione giuridica del committente vis à vis al progettista.
Se, per contro, il contratto prevede l’obbligo per l’architetto di eseguire la progettazione e di curare la direzione dei lavori, ci si trova in presenza di un cosiddetto contratto globale d’architetto, anch’esso di natura mista ma, per giurisprudenza e dottrina più autorevole, assoggettato nella sua globalità – quantomeno in materia di responsabilità – alle norme relative al mandato.
Tra le potenziali declinazioni della responsabilità dell’architetto vale la pena approfondire in questa sede quella per il superamento dei costi di costruzione. Tale responsabilità è retta, a prescindere che il contratto di architetto sia o meno qualificabile quale globale ai sensi dei precedenti paragrafi, dall’art. 398 cpv. 2 CO e, quindi, dai disposti sul mandato.
Le obbligazioni in capo all’architetto sono, con riferimento ai costi di costruzione, le seguenti: fornire al committente tutte le informazioni necessarie circa l’evoluzione dei costi, allestire con diligenza il preventivo ed effettuare una verifica costante, al fine di segnale al più presto l’insorgenza di eventuali sorpassi. In caso di superamento dei costi preventivati, occorre anzitutto esaminare se il maggior esborso è dovuto a costi supplementari causati dall’architetto oppure a un’imprecisione nell’allestimento del preventivo rispettivamente una carente diligenza nel controllo dei costi e ciò per il seguente, centrale ordine di ragioni.
La responsabilità dell’architetto con riferimento alla prima fattispecie, ovverosia a quella in cui i costi supplementari non sono dipendenti da lacune nell’allestimento del preventivo, consiste in una pretesa risarcitoria del committente verso l’architetto pari, di principio, alla totalità del maggior esborso (oggettivo) sopportato.
Nell’altro caso, invece, e meglio laddove il superamento dei costi di costruzione è riconducibile a lacune e/o imprecisioni nell’allestimento del preventivo, rispettivamente a una carente diligenza nel controllo dei costi, la pretesa risarcitoria del committente è volta (unicamente) al risarcimento del cosiddetto danno per la fiducia, vale a dire il danno patito dal committente per essersi fidato dell’attendibilità del preventivo e per avere con ciò adottato le successive disposizioni, omettendo di agire diversamente.
In altre parole, quindi, il danno di cui il committente potrà chiedere il risarcimento non corrisponderà, in quest’ultima ipotesi, al maggior valore oggettivo della costruzione risultante dalla differenza tra il preventivo (errato) e il costo finale della medesima bensì, secondo giurisprudenza, alla differenza tra il valore oggettivo della costruzione e l’utilità soggettiva che essa ha per il committente.
Quest’ultimo sarà infatti danneggiato unicamente nella misura in cui, qualora fosse stato a conoscenza dell’erroneità del preventivo, avrebbe disposto diversamente dei suoi mezzi finanziari e nel caso in cui il maggior valore (oggettivo) della costruzione derivante dall’aumento dei costi sia per lui inutile o gli investimenti superino le sue possibilità economiche.
In conclusione, date le difficoltà a livello di qualificazione del rapporto giuridico tra le parti, di conseguente, eventuale necessità di notifica del difetto e, last but not least, di quantificazione della pretesa risarcitoria, è senz’altro consigliabile per il committente avvalersi, in casi come quelli riportati nel presente contributo, dei servizi di un consulente legale cognito della materia e ciò già nella fase prodromica a un’eventuale procedura giudiziaria vera e propria.
Avv. Michele Bernasconi