È con piacere che abbiamo intervistato Luca Maria Gambardella, storico specialista di intelligenza artificiale del nostro Cantone.
Signor Gambardella, quando ha intrapreso questa attività?
Ho cominciato a lavorare nel settore dell’AI appena dopo l’università, avevo 23 anni, era il 1985. Sono stato consulente dei primi progetti di utilizzo dell’AI in campo Bancario per la Bull a Milano e ho iniziato a lavorare per l’istituto Dalle Molle a Lugano nel 1988. Ho avuto il privilegio di vedere crescere l’istituto (oggi ha 120 persone) prima come ricercatore e poi come direttore (per 25 anni fino al 2020), e vedere l’arrivo di USI e SUPSI da quella prospettiva.
Quindi, professionalmente, lei è cresciuto in Ticino?
Esattamente, professionalmente sono scresciuto in Ticino. Ad oggi sono professore ordinario all’USI facoltà di informatica, prorettore per l’innovazione e le relazioni aziendali, responsabile del master in intelligenza artificiale. La mia carriera scientifica è segnata da centinaia di articoli e decine di migliaia di citazioni. Sono stato inserito di recente nella classifica di Stanford University tra l’1% dei migliori scienziati al mondo in qualunque disciplina, e sono stato inserito tra i digital shapers “all of fame” di Bilanz.
Oltre a fare il professore, si occupa anche di business?
Da qualche anno sono anche imprenditore. Nel 2020, col collega Marco Zaffalon e un gruppo di imprenditori e enti Svizzeri (principalmente Ticinesi) abbiamo fondato Artificialy SA a Lugano nella quale opero in qualità di CTO e Head of Applied AI. Artificialy ha già assunto una ventina di specialisti a tempo pieno che si occupano di portare e far funzionare l’intelligenza artificiale direttamente nelle aziende.
Da “storico osservatore” del settore ci potrebbe fare un commento su come l’adozione delle metodologie di Intelligenza Artificiale nel campo del business sia cambiata negli ultimi anni?
Fino a quattro, cinque anni fa l’AI era un tema molto più legato all’accademia o alle grandi aziende. In qualità di direttore del Dalle Molle penso di aver negoziato e poi eseguito con i colleghi almeno una trentina di progetti nel settore. Fondamentalmente si tratta di progetti della categoria “innosuisse” dove le università collaborano con le aziende per portare nel loro settore nuove tecnologie non disponibili sul mercato. I progetti innosuisse richiedono la presentazione di una domanda competitiva alla confederazione, la stesura non solo della parte tecnico/scientifica ma anche di un business and implementation plan. Pur avendo rapidità di valutazione (innosuisse valuta ogni mese), una volta partiti i progetti durano 18 mesi. L’azienda deve contribuire con la stessa quantità di lavoro dell’università e pagando un costo a fondo perso cash all’intorno del 10%, talvolta fino a 40-50K.
Quindi si tratta di un impegno importante che richiede investimenti in tempo e denaro. Ma i risultati sono poi soddisfacenti?
Sì certo, tempo e denaro e poi non tutti i progetti passano. Per quanto riguarda l’adozione, alcune delle aziende che abbiamo aiutato hanno lasciato la soluzione AI nel cassetto. Altre, hanno ben sfruttato la collaborazione integrando il prodotto con le proprie forze. In tal senso, l’università non si può (e non si deve) occupare di integrazione, raffinamento, manutenzione e mantenimento della soluzione. Il suo ruolo è individuare la giusta metodologia per risolvere il problema e fornire un prototipo funzionante da integrare nel prodotto dell’azienda. Quindi è ovvio che qualcuno ci sia riuscito e qualcuno meno.
Oggi le cose sono cambiate?
Noi siamo partiti con Artificialy proprio quando abbiamo capito che l’esigenza delle aziende di percorrere l’ultimo miglio dell’AI, dal prototipo al mercato, stava crescendo e diventava cruciale per loro essere competitive in tempi molto brevi. Le aziende oggi preferiscono rivolgersi agli specialisti in modalità B2B. In Artificialy siamo snelli ed efficaci. Aggiungiamo che l’insieme di strumenti/librerie software a disposizione si è molto allargato riducendo così i costi di sviluppo e i tempi di consegna. Abbiamo progetti che partono da pochi giorni a progetti di media e grande taglia, soprattutto con PMI. I nostri specialisti non devono scrivere articoli scientifici, seguire tesi e andare in classe. Sono abituati ad ascoltare e capire il linguaggio delle aziende e a pensare in modo molto concreto.
Quindi cambia anche il ruolo dell’accademia?
No, non direi che cambia ma che si rafforza. L’accademia deve concentrarsi sui problemi non risolti, sulla sperimentazione di nuove tecnologie ad aprire strade nuove che avranno impatti nel futuro. Certo restano fondamentali i progetti innosuisse quando risulta evidente che altre soluzioni più dirette non ci sono.
Possiamo concludere con qualche esempio?
Certamente, abbiamo parlato di tante cose e abbiamo anche trascurato ChatGpt il fenomeno del momento. Lo affronteremo in un’altra occasione. Con Artificialy lavorano Banche e società che vogliono capire se ci sono segnali nella relazione con i propri clienti che fanno pensare ad un allontanamento (Churn). Lavoriamo per trattare ticket in ingresso in automatico, per fare previsioni di fatturato e a supporto della pianificazione. Dai dati storici si ottiene molto ma anche dalle immagini di telecamere con le quali siamo in grado di monitorare in tempo reale la qualità dei prodotti o predirne difetti futuri.
Luca Maria Gambardella, Professore USI,
CTO in Artificialy SA, Lugano
www.artificialy.com