Come giudica l’attuale situazione economica per la Svizzera e l’Europa? Che previsioni si possono fare per la seconda parte dell’anno e per il 2025 in Svizzera e in Europa? Avete delle proiezioni sul PIL?
L’economia dell’Eurozona è cresciuta dello 0,3% t/t nel 1T24, e la crescita è continuata nel 2T, anche se i dati deboli aumentano l’incertezza sullo slancio nel 3T. La crescita dei salari e il calo dell’inflazione dovrebbero sostenere i consumi delle famiglie, mentre un rimbalzo del commercio globale potrebbe fornire un contesto più favorevole per la domanda esterna. Prevediamo una crescita del Pil reale dello 0.6% nel 2024 e dell’1.2% nel 2025. L’inflazione dovrebbe continuare a scendere gradualmente nei prossimi trimestri, mantenendosi fra il 2 e il 3%. La BCE dovrebbe continuare il ciclo di tagli graduali, salvo grandi sorprese nei dati sull’inflazione.
Ci attendiamo una crescita del Pil reale in Svizzera dell’1,3% nel 2024 e dell’1,5% nel 2025. La domanda esterna è migliorata di recente, ma il nostro barometro delle esportazioni è ancora in territorio negativo, indicando una crescita inferiore al trend nei prossimi mesi. La domanda interna appare più solida sulla scia della robusta crescita dell’occupazione e del calo dell’inflazione. A giugno l’inflazione è scesa all’1,3%, ben all’interno dell’intervallo obiettivo della BNS.
Di recente la BNS e la BCE hanno tagliato i tassi di interesse. Questo significa che l’inflazione è sotto controllo e che quindi la crisi degli ultimi tempi è alle spalle? È stata evitata la recessione?
Fino ad ora la tanto temuta recessione non si è materializzata e riteniamo che i tagli dei tassi che sono iniziati in Europa, già a stadio avanzato in Svizzera, e, con molta probabilità, prossimi a settembre per gli Stati Uniti, imprimeranno ulteriore ossigeno all’economia. La BNS ha abbassato il tasso di riferimento di 25 punti base all’1,25% a seguito della valutazione monetaria trimestrale di giugno. Con i rischi di inflazione contenuti e le altre banche centrali pronte ad allentare la politica nei prossimi trimestri, ci aspettiamo un ultimo taglio dei tassi dello 0.25% che condurrà i tassi guida all’1,0%, probabilmente a settembre. Questa previsione è subordinata a una decelerazione dell’inflazione nell’estate 2024, a una moderata pressione di apprezzamento sul franco svizzero, come pure all’inizio del ciclo di allentamento della FED unitamente alle decisioni della BCE.
Alla riunione di giugno la BCE ha abbassato il tasso di riferimento, portandolo al 3,75%, a causa dei progressi compiuti nella riduzione dell’inflazione negli ultimi mesi. La decisione è arrivata senza alcuna garanzia sul ritmo dei futuri tagli dei tassi. Propendiamo per altri due tagli e quindi per tre in totale, che porterebbero i tassi di riferimento a 3,50% a settembre e a 3,25% a dicembre.
Il FOMC ha lasciato invariata la politica monetaria alla riunione del 31 luglio scorso, sebbene il presidente Powell abbia aperto la porta ad un primo taglio dei tassi alla riunione di settembre, corroborato dalla debolezza dei recenti dati sul mercato del lavoro, pubblicati a ridosso della riunione. Alla luce dei recenti dati macro prevediamo 50pb di taglio a settembre, 25pb a novembre e 25pb a dicembre, per un totale di 100pb a fine anno.
A suo giudizio questo è un momento buono per investire in obbligazioni e azioni?
A breve termine i portafogli devono affrontare la moderazione della crescita e dell’inflazione, il calo dei tassi d’interesse e il boom dell’intelligenza artificiale e gestire i potenziali rischi legati alle elezioni negli Stati Uniti.
Puntiamo sulle obbligazioni di qualità, che offrono rendimenti interessanti, dovrebbero registrare un apprezzamento del capitale a fronte di un calo dei tassi e sono in grado di proteggere i portafogli dal rischio di una battuta d’arresto della crescita. Preferiamo i titoli con duration media, perché quelli a più lunga scadenza potrebbero essere penalizzati dal potenziale di un’ulteriore espansione del deficit di bilancio. La solida crescita degli utili statunitensi, il calo dell’inflazione, i probabili tagli dei tassi d’interesse e l’accelerazione degli investimenti in intelligenza artificiale continuano a creare condizioni favorevoli per i mercati azionari. Puntiamo anche sui titoli quality growth in generale, ovvero le società con un solido posizionamento competitivo e solida generazione di utili.
L’attuale e difficile situazione geopolitica (guerra in Ucraina e conflitto in Medio Oriente) quali conseguenze sta avendo e avrà sull’economia europea e nazionale?
Le tensioni geopolitiche sono aumentate di nuovo a causa dell’escalation degli scambi verbali tra Iran e Israele, mentre la guerra in Ucraina mostra pochi segnali di avvicinarsi a una risoluzione nel breve termine. Anche i rischi politici si sono intensificati, con risultati più difficili da prevedere. Mentre l’aumento della volatilità di mercato è normalmente un effetto temporaneo, un rischio più tangibile potrebbe essere rappresentato da eventuali sanzioni all’Iran con blocco delle esportazioni, aumento costi delle merci e dei costi energetici con il rischio di un ritorno dell’inflazione. Questo rischio non si è sino ad ora materializzato. Nel lungo periodo una situazione geopolitica costellata da un forte aumento di rischi di potenziali conflitti potrebbe portare ad un aumento degli investimenti da dedicare alla difesa delle nazioni. Tale maggiore spesa per la difesa toglierebbe risorse che potrebbero invece essere destinate agli investimenti privati.
A livello politico l’Europa ha virato un po’ a destra e anche gli USA sembra andranno in quella direzione alle prossime elezioni autunnali. Quali conseguenze potranno avere a livello economico questi cambiamenti?
Man mano che ci avviciniamo a novembre, le elezioni statunitensi saranno sempre più oggetto delle analisi di economisti e investitori. Democratici e Repubblicani hanno visioni molto diverse su come gestire l’economia: i primi vogliono tasse più alte per le élite e un ruolo più attivo del governo nell’industria, mentre i secondi mirano a ridurre tasse e immigrazione. Una delle poche cose che nella sostanza condividono è il protezionismo. Le modalità sono però diverse: Trump favorisce i negoziati bilaterali e ha proposto dazi universali del 10% su tutte le importazioni negli Stati Uniti e del 60% su quelle provenienti dalla Cina; al contrario, i Democratici desiderano preservare l’alleanza transatlantica concentrandosi sugli scambi con la Cina. Dazi più elevati sarebbero negativi per le aziende con export verso gli Stati Uniti, come i produttori automobilistici europei. A medio termine, ciò potrebbe accelerare la tendenza a riportare alcune produzioni nel mercato dal quale sono state delocalizzate. Una vittoria repubblicana potrebbe essere nell’immediato positiva per le borse, per via delle aspettative di minor tassazione e regolamentazione.
Elena Guglielmin,
Senior Credit Analyst Financials di UBS
www.ubs.com