Parlare apertamente in azienda non è sempre facile, specie quando non ci sentiamo sufficientemente sicuri per farlo. La cosiddetta ‘sicurezza psicologica’ sul lavoro è un fenomeno che Amy C. Edmondson, ricercatrice e prof. della Harvard Business School, studia da diverso tempo e che è trattato nel suo volume ‘The Fearless Organization’.
Carlo Giardinetti, Dean of Executive Education and Global Outreach presso la Franklin University Switzerland, ha curato la prefazione della versione italiana intitolato ‘Organizzazioni senza paura’. Lo abbiamo incontrato in occasione dell’evento inaugurale del Board Forum Svizzera Italiana tenutosi al campus di Sorengo lo scorso mese di febbraio.
“In sostanza, la sicurezza psicologica consiste nell’essere in grado di agire ed esprimersi in un gruppo di persone senza paura di conseguenze negative”, spiega Giardinetti. “Significa quindi creare un ambiente in cui nessun membro del gruppo possa essere umiliato, deriso o marginalizzato per aver fatto domande, proposto idee, espresso preoccupazioni o segnalato errori. Come insegna la prof. Edmondson, creare sicurezza psicologica significa poter dare un contributo sincero all’interno di un gruppo, ammettere apertamente gli errori e imparare gli uni dagli altri, favorendo così l’inclusione e l’efficienza. Senza questa sicurezza, il talento rischia di non essere scoperto, il che in definitiva impedisce l’innovazione in azienda”.
Il mondo del lavoro di oggi è un mondo che richiede continuamente micro-decisioni e in cui le informazioni che servono per prenderle nel migliore dei modi non vengono più solo dall’alto ma da ogni parte dell’organizzazione: da collaboratori, colleghi, e clienti che ogni giorno possono rivelare i limiti delle scelte strategiche aziendali. Un mondo dove le persone lavorano anche in luoghi geograficamente distanti o, specie a seguito della pandemia, da remoto.
“In questo contesto la paura di parlare, di suggerire, di contraddire, di azzardare, costa”, dice Giardinetti. “Dove si respira la paura, gli errori si nascondono anziché imparare da questi, si fanno un sacco di cose inutili, non si sperimenta niente di nuovo, con molte conseguenze devastanti per il benessere delle persone e dell’andamento aziendale”.
Quindi, come si caratterizza un’organizzazione “senza paura” (Fearless)?
“Più che una caratteristica dell’azienda stessa, è la condizione psico-fisica delle persone che vi lavorano”, chiarisce Giardinetti. “È una condizione necessaria in un mondo che chiede alle persone di imparare costantemente mentre lavorano. Perché solo in questo modo è possibile percepire rischi e opportunità e rispondervi con soluzioni veloci. Sempre meno si può fare affidamento su processi codificati e lineari, e non si può più prescindere dalla collaborazione e dall’integrazione delle competenze. Ma le scienze cognitive hanno mostrato che, oltre al problem solving, la paura inibisce anche i due pilastri dell’evoluzione umana: apprendimento e collaborazione.
Il messaggio chiave è dunque molto semplice: data la complessità della nostra epoca, non possiamo più permetterci di non vedere la paura che abita nelle nostre organizzazioni e limita i contributi delle persone. Il modo di lavorarci c’è, e molte aziende lo hanno già fatto con ottimi risultati. Come Google, che notoriamente impiega gruppi di sviluppatori in ogni angolo del pianeta e che non capiva perché alcuni erano migliori di altri. Lanciò quindi il progetto ‘Aristotele’, dal quale sono state individuate cinque dimensioni che facevano la differenza sul rendimento: affidabilità, senso, obiettivo, struttura e, l’ultima, la ormai famosa psychological safety, che si rivelò quella determinante perché maggiormente correlata ai risultati”.
Google, come molte altre aziende, ha dunque affrontato il tema del “danno del silenzio”, sciolto la micidiale accoppiata tra imporre obiettivi impossibili e intimidazioni (che può dare l’illusione del successo finché il conto da saldare non arriva), cancellato le pratiche che distruggono la fiducia e messo a punto sistemi, processi, strumenti e spazi per evitare i fallimenti evitabili, favorito gli errori inevitabili e renderli utili, creato spazi per favorire i fallimenti intelligenti e celebrarli.
“Questa è la responsabilità dei dirigenti e delle risorse umane nelle organizzazioni: costruire un contesto fearless che faciliti lo sblocco e l’espressione del potenziale, in modo che le persone possano esercitare il proprio talento per raggiungere standard ambiziosi con responsabilità. La costruzione di un simile contesto dovrebbe essere parte integrante della strategia dell’organizzazione” conclude Giardinetti.