Verso la fine degli anni 80, mentre la guerra fredda volgeva al suo epilogo, l’US Army College, coniò l’acronimo VUCA (Volatile, Uncertain, Complex e Ambiguos) per definire il concetto di leadership nel contesto del mutato scacchiere geopolitico. In anni più recenti, mi è capitato di veder citato il termine in occasione di workshop dedicati a diversi scenari ma mai tanto attuali quanto quelli osservabili in questi ultimi anni e, temo, in quelli a venire.
Dalla pandemia in poi, la volatilità, l’incertezza, la complessità e l’ambiguità sono infatti all’ordine del giorno e i tentativi di ritrovare il conforto in situazioni stabili, controllabili e prevedibili, sembrano destinati a fallire.
Le aziende, di qualsiasi dimensione, non fanno eccezione e talvolta faticano a ricollocarsi in un “VUCA world”. Dal canto loro, dirigenti e imprenditori sanno di dover puntare su una crescente agilità ma spesso faticano nel concretizzare il termine in strategie e azioni conseguenti.
Con la rivoluzione digitale, si sono moltiplicate le promesse di maggior agilità, in termini di maggiore efficienza e flessibilità dei processi aziendali e, più in generale, di una maggiore capacità di reazione ai mutamenti. Tuttavia, in mancanza di un’analisi critica dei modelli di business e organizzativi, si rischia spesso di rimanere al palo.
Prendiamo per esempio il lavoro in remoto, spesso chiamato ambiziosamente “worksmart” ma il più delle volte classificabile come “home work” ed entrato prepotentemente nelle discussioni quotidiane con il “lockdown”. L’isolamento in casa ha costretto molte persone a “far di necessità virtù” e in tempi record, scrivanie, sale riunioni e aule scolastiche sono state trasferite nelle nostre abitazioni private.
Molti computer da scrivania sono stati sostituiti dai PC portatili e il telefono ha lasciato il passo alle soluzioni di videoconferenza. La necessità impellente di mantenere la continuità operativa in una situazione di emergenza ha costretto molti di noi a riordinare le priorità ma spesso, come ad esempio nel caso della collaborazione aziendale, ci si è fermati alla videoconferenza: audio, video e, quando necessario, la condivisione dello schermo.
Il sistema di posta elettronica è rimasto impantanato nella funzione di gestore documentale mentre i gruppi su Whatsapp si sono moltiplicati in un variopinto ma non sempre sicuro mix tra privato (scuola dei figli compresa) e lavorativo. In buona sostanza, salvo qualche eccezione, si è persa l’occasione di approfondire il tema della cosiddetta “workstream collaboration” e di ripensare metodi e strumenti di lavoro.
Oggi, al riparo dell’emergenza sanitaria (si spera per molto tempo) qualcuno pensa addirittura di affidare al “worksmart” il compito di contenere le spese energetiche di quest’inverno, riproponendo il modello di lavoro d’emergenza, da riporre successivamente in naftalina non appena torneremo (ma torneremo?) alla normalità.
In questi mesi più tranquilli non mancano i casi di aziende che si ritrovano ad utilizzare soluzioni come Microsoft Teams forzandole nel ruolo di centralino telefonico con immancabili delusioni e dietrofront tecnologici (spesso costosi) verso soluzioni più classiche.
Le aziende che stanno ancora meditando la retromarcia potrebbero considerare l’alternativa di dirottare i costi verso un progetto per l’introduzione di un’efficiente metodologia di workstream collaboration.
Si parla spesso di “human centered design” ritenendo che il concetto sia applicabile solo alle grandi aziende, senza considerare che anche un’azienda con due collaboratori, può sviluppare interazioni efficienti (eventualmente estendendole anche a partner esterni) e guadagnando punti in competitività.
Il punto di partenza in questi casi è un work-shop interdisciplinare coordinato da un consulente esterno all’azienda (quindi potenzialmente al riparo da abitudini e opinioni consolidate nella routine) che approfondisca quei processi che prevedono l’interazione tra utenti (sia interni che esterni all’organizzazione). In una seconda fase, il consulente può aiutare i partecipanti a ridisegnare alcuni processi e guidarli verso la terza fase, quella in cui si “scopriranno” funzionalità insospettabili, spesso già presenti nella nostra suite di applicazioni.
Meglio quindi pensare al ricollocamento delle “mansioni” che affidiamo alle diverse applicazioni che risiedono stabilmente sul desktop del nostro computer e all’introduzione di una modalità di collaborazione con colleghi e partner più sostenibile, efficiente e pronta per qualsiasi nuova sorpresa che il mondo VUCA ha sicuramente in serbo per noi.
Carlo Secchi,
Head of Sales Ticino Sunrise Business
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