Negli ultimi anni, la sostenibilità degli investimenti è diventata un tema centrale nel settore finanziario globale, compresa la Svizzera. Tuttavia, la crescente domanda di prodotti finanziari “verdi” ha portato con sé un aumento del fenomeno del “greenwashing” ovvero la pratica di presentare investimenti come sostenibili senza che lo siano effettivamente oppure con requisiti di sostenibilità insufficienti.
Attualmente, non esiste una definizione ufficiale universale di greenwashing, ma diverse autorità finanziarie forniscono indicazioni utili.
La FINMA, l’Autorità svizzera di vigilanza sui mercati finanziari, descrive il greenwashing come “la presentazione di un investimento come sostenibile o responsabile anche se non soddisfa i requisiti minimi di sostenibilità o responsabilità”.
L’Unione Europea e la Competition and Markets Authority (CMA) del Regno Unito aggiungono che si tratta di presentare informazioni fuorvianti su un prodotto o servizio, facendolo sembrare più ecologico di quanto sia in realtà.
La pratica del greenwashing nel settore finanziario può coinvolgere vari attori, dai creatori e distributori di prodotti finanziari, come banche e società di investimento, ai consulenti e persino terze parti che certificano la sostenibilità degli strumenti finanziari. Tale pratica è fuorviante per consumatori ed investitori e danneggia la fiducia nel settore finanziario in generale e della finanza sostenibile in particolare.
In Svizzera, la domanda di prodotti finanziari sostenibili è elevata e pertanto il rischio di greenwashing è concreto. Secondo uno studio pubblicato dalla Swiss Sustainable Finance nel 2020 (Swiss Sustainable Investment Market Study 2021) il volume degli investimenti collettivi di capitale sostenibili ha superato per la prima volta quello degli investimenti tradizionali, con un consolidamento nel 2021.
Un recente studio condotto dall’European Banking (EBA PROGRESS REPORT ON GREENWASHING MONITORING AND SUPERVISION 31 MAY 2023 ) mostra che i presunti casi di greenwashing nel settore bancario sono a livello europeo (ma non solo) in costante crescita fino ad arrivare, nel 2022, ad oltre 5’000 casi.
Gli esempi di greenwashing identificati includono varie fattispecie: dai riferimenti alla sostenibilità senza una reale strategia o politica sostenibile, all’uso di etichette come “impact” o “zero carbon” senza la comprova di tali affermazioni. L’Associazione Svizzera dei Banchieri (Swissbanking) ha anche individuato pratiche di greenwashing legate a dichiarazioni fuorvianti sulle caratteristiche dei prodotti e alla mancata integrazione dei criteri ESG (Environmental, Social, Governance) nei processi di consulenza e gestione patrimoniale.
Le cause del greenwashing in Svizzera includono la mancanza di regolamentazione specifica, la complessità dei prodotti finanziari e la pressione degli investitori per prodotti sostenibili. Questi fattori, combinati con la mancanza di conoscenza e consapevolezza del problema, rendono il greenwashing una minaccia reale.
Le conseguenze del greenwashing sono significative: perdita di fiducia degli investitori, danni all’ambiente e rallentamento della transizione ecologica, oltre a rischi reputazionali per le aziende coinvolte.
La FINMA, nella sua missione di protezione degli investitori, ha evidenziato la necessità di misure rigorose per combattere tali fattispecie e volte a migliorare la trasparenza e la rendicontazione sulla sostenibilità dei prodotti finanziari ed aumentare la tutela degli investitori. Tali misure consistono nel rafforzamento della regolamentazione (non solo a livello di etichettatura dei prodotti ma anche per quanto riguarda la condotta degli intermediari finanziari, la loro adeguata organizzazione interna e chiare regole al “point of sale”), un miglior controllo da parte delle autorità competenti, campagne di informazione e sensibilizzazione e lo sviluppo di strumenti per la valutazione dei prodotti finanziari. Tutte queste misure però, senza un ruolo attivo degli investitori, rischiano di non rivelarsi sufficienti.
Agli investitori viene quindi richiesto un atteggiamento cauto e prudente, volto a diffidare di promesse irrealistiche ma non solo. Questi ultimi devono esigere informazioni precise e verificabili sui prodotti finanziari, investire solo in prodotti che siano realmente sostenibili, effettuare le proprie valutazioni in ambito di preferenze ESG (Environmental, Social o Governance?), assumere atteggiamento critico ed infine segnalare alle autorità competenti i casi sospetti di greenwashing.
In conclusione, il greenwashing rappresenta una sfida complessa che richiede un impegno collettivo e diffuso del regolatore, delle autorità di vigilanza e degli investitori.
Emerge con chiarezza che il ruolo dell’investitore è centrale e non può essere passivo. Da un lato gli investitori devono esprimere le proprie preferenze a livello di sostenibilità (ESG è un termine generico…); dall’altro non possono affidare completamente l’implementazione delle politiche ESG agli intermediari finanziari. All’investitore finale privato spetta un ruolo centrale nell’indirizzare gli investimenti sulle proprie preferenze, valutare il lavoro svolto dagli intermediari finanziari che gestiscono tali prodotti / che offrono i propri servizi sostenibili e, non da ultimo, sorvegliare sistematicamente il loro operato e segnalare qualsiasi irregolarità rilevata alle competenti autorità di vigilanza.
Barbara Vanacore Carulli,
BV&Compliance Sagl, Partner,
Specialista in Compliance e Risk Management, Regulatory Expert